Claudio Cisco |
LA MIA ANIMA È NUDA |
Messina 2006
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
copyright © 2006 by Claudio Cisco
Anche in questa raccolta di liriche, le vicende psicologiche dell’autore divengono esse stesse motivo di poesia, del resto non c’è opera che insieme con il poeta non rispecchi anche l’uomo con i suoi timori, i suoi dolori, le sue speranze. Cisco rivela chiaramente le ragioni psicologiche del suo isolamento dalla vita pratica e il suo amore per la solitudine. Esprime con vigore e precisione i suoi stati d’animo ed effonde con un rapimento quasi mistico il suo travaglio psichico assieme alla pienezza dei suoi sentimenti in perenne contrasto tra loro; con una fiamma viva e sempre ardente di curiosità tende a carpire il mistero che avvolge l’universo. Ne vengono fuori pagine intrise di tristezza ma anche di profonda meditazione. Cisco esprime ancora una volta il suo animo agitato e tormentato, fedele specchio d’un uomo prima e d’un artista dopo, perennemente inquieto. Continua nei labirinti della sua mente l’incessante lotta tra umano e divino, tra sacro e profano, tra ciò che gli altri considerano male e il bene, sempre alla ricerca di un porto sicuro, di una certezza, di una pace. Il dominio, Cisco, lo ottiene solo nella sua poesia, in cui ogni parola, ogni immagine si piega docile ad esprimere i moti più segreti del suo animo, elargendo nei suoi versi bellezza e armonia. Diffonde nella natura, come anche nelle sue liriche, le sue inquietudini, i suoi sogni, le sue delusioni e l’orizzonte naturale diviene il riflesso di quello interiore. Il tema forse più profondo trattato in quest’opera, è rappresentato dal doloroso distacco tra la giovinezza e l’età matura. Nell’anima tutta raccolta in se stessa, si fa viva e struggente la memoria dell’infanzia con le sue dolci fantasie sbiadite e perdute. Ma pur nell’accento doloroso della perdita, essa rimane sempre nel ricordo, un mito sereno chiuso in una luce limpida. È ancora la fragilità del tempo che scorre e dell’uomo che perisce, rivelata dall’autore nelle sue liriche, con grande maestria artistica e insieme struggente nostalgia. E poi ancora la contemplazione della natura bella ma ingannevole, intesa come tremenda e vana fatica, incomprensibile agli esseri umani, che tende a sfociare nella morte. In questa intensità di vita così esclusivamente soggettiva, la natura, gli uomini e le cose tutte del mondo esterno, sono assunte entro lo stato d’animo dell’autore e rappresentano il battito che il suo cuore di volta in volta conferisce loro. Le cose si umanizzano e cantano, piangono, sospirano in un’intima corrispondenza tra il poeta e la natura. Tutto sembra malinconia di cose perdute e di vane promesse, quasi un sogno inappagato, una preghiera appena sussurrata senza speranza e gli esseri viventi sono creature che corrono verso la morte. In conclusione, grazie alla lettura del suo quarto libro, ho potuto capire come Cisco sia impossibilitato di essere e di realizzarsi in un mondo che nega tanto più crudelmente la felicità, quanto maggiore è la nostra virtù.
Giovanni Pierantoni LA MIA ANIMA È NUDA anarchico il mio istinto folle la mia mente immorale la mia libertà. La mia anima è nuda ama i bambini sta al fianco di barboni, disadattati, emarginati adora gli ultimi della classe sociale. La mia anima è nuda non sa vivere in società non scende a compromessi e non concepisce le regole non lavora e non produce. La mia anima è nuda è troppo grande per essere prigioniera in un corpo di carne non può esser limitata dal tempo è uno spirito libero che anela alla libertà assoluta. La mia anima è nuda posta al centro d’una corda tirata ai lati da lussuria e innocenza come un verme striscia e bacia i piedi del demonio poi di colpo s’alza in volo e abbraccia Dio sempre in bilico tra inferno e paradiso. La mia anima è nuda soltanto nell’arte, di notte quando tutti dormono, esce manifestando la sua diversità se venisse scoperta verrebbe fatta fuori e forse anche uccisa, bisogna lasciare dormire tranquillamente la gente, guai a chi provasse a risvegliarli! quando si sta troppo al buio, si ha paura della luce. La mia anima è nuda immortale e ribelle aliena venuta da chissà quale mondo destinata a perdersi e soffrire nel crudele gioco della vita e della morte. La mia anima è nuda scevra da qualunque vanità spogliata nella sua infinita miseria non si lascia etichettare in nessun modo non è né maschio né femmina, né schiava né regina. La mia anima è nuda conosce la sensibilità del male è attratta dal fascino del proibito è inquietante ma sincera. La mia anima è nuda è ancora bambina quando sogna terribilmente vecchia quando insegue la logica morta e sepolta quando si lascia sedurre da religioni e ricchezze. La mia anima è nuda condannata dalla sua stessa sensibilità ad un isolamento senza uscita, non chiede più comprensione ormai sa di averla data ma di non poterla ricevere. La mia anima è nuda dannata salvata ma dannata ancora. Anime perverse, entrate in sintonia con me! sono qui, se volete potete trovarmi non ho maschere e non mi nascondo: la mia anima è nuda.
Silenzi e vuoti intorno a me quiete assoluta nella mia stanza sguardo assente, occhi chiusi la mia mente mi porta lontano fuori da qui mi trascina via con sé e nessuno se ne accorge, prende il largo sulle acque attraversa un fiume tranquillo che cancella i ricordi e li fa scivolare via. La mia mente è volo di idee ragnatele di ragionamenti archivio di esperienze rimosse cassetti colmi di dubbi incessanti. La mia mente è follia pura immaturità e saggezza insieme è un gigantesco pallone che vaga rimbalzando continuamente da un soffice sogno all’altro. La mia mente è finto silenzio fantasie strane vertigini e vortici di pensieri spinta per vivere. Crea una tempesta non dorme la notte incubi che si accavallano sogni che nascono e rimangono sospesi paure e solitudini senza fine. La mia mente è invasa di ricordi che si susseguono notizie divorate date, sentenze, nomi, schede ormai ingiallite profumi di opere buone domande senza risposte amori cancellati e poi riscritti sì che diventano no. La mia mente è un insieme di cose da dimenticare una cantina di occasioni perdute di progetti mai portati a termine di ricordi nostalgici. La mia mente silenziosa corre, vola, sfugge, anela, brama di sapere. Va via col vento, più su delle nuvole sopra gli oceani sorvola spazi infiniti raggiunge nuovi orizzonti. La mia mente mi convince ha sempre la meglio detta le sue leggi ed io non posso sfuggirle, la seguirò perché lei vuole così. La mia mente mi fa impazzire mi fa venir voglia di scoppiare mi lascia i segni di chi ha vissuto un’eternità. Uccidimi il cuore! la mia mente mi resterà ancora intatta. Legami con una catena fortissima! lei mi slegherà, forse neanche la morte fisica potrà riuscire a formarla. Ti prego mente mia portami con te lontanissimo nei grandi campi di neve dove il sole non c’è nei deserti sabbiosi senza confini nelle praterie immense nei mari in tempesta nelle cime vertiginosamente alte nelle strade vuote senza fine che portano al nirvana e all’estasi. Portami o mente mia attraverso paesaggi sfocati e laghi annebbiati, le mie vene saranno fiumi tra le rocce le mie mani pallidi monti nella notte il mio sangue torrente rosso più del fuoco. Solo con te sulla scia delle ninfe tra cascate argentate i miei pensieri frustati dal vento scatenati e prendi, prendi tutto di me!
Vorrei vagare nell’universo e cercarti ovunque, nelle intrecciate tele di un ragno nel fruscio delle foglie morte nel dondolare dei rami stecchiti nel profumo d’un incensiere sfogliando la Bibbia dinanzi al portone d’un antico monastero. Vorrei essere portato via da te nella tua carrozza lontano dalla prigione d’un grattacielo lungo le strade dell’inverno ed osservare riflessa nel lago argentato la mia immagine vecchia e deforme trasformarsi nella tua pelle giovane e bianca e contare poi una per una le perle della tua corona. Vorrei capire chi sono mostrandoti fotografie sbiadite e diari segreti, mostrandoti la scia luminosa dei ricordi di quello che ero ieri, l’anima immortale che vive nei miei versi adesso, la statua, la lapide e la polvere di ciò che rimarrà dei miei sogni domani. Vento impetuoso della fuggevole immaginazione mia tu spalanchi con forza la porta di questa mia tacita realtà e nelle annebbiate stanze del tuo nido io mi sto sempre più addentrando. Ed ora sento di poterti raggiungere. Vorrei avvicinarmi ma non so chi sei vorrei chiamarti ma non so il tuo nome vorrei seguirti ma tu ti stai sciogliendo lentamente in aria. Eppure io ti inseguo da sempre nei labirinti della mia mente, cercandoti affannosamente in ogni piccolo spazio della mia camera vuota e solitaria. E nelle lacrime della solitudine mia che percorron lente il mio viso pulito, vedo i miei sogni evanescenti morire uno dopo l’altro ed un bimbo, quel bimbo che vive in ognuno di noi, li porta con sé invecchiati fino ad estinguersi nel riposante approdo d’un obitorio.
Nico! Ti ricordo ancora avevi dodici anni, la mia stessa età solo qualche giorno in meno. Nico! Sei nella memoria coi tuoi occhi scuri una bocca grande ma con pochi denti ti facevo il verso non te la prendevi. Nico! Eri sempre con le brache corte e le gambe viola per il grande freddo. Nico! Ma com’eri buffo con quel cappellino con il paraorecchie una grossa sciarpa fatta da tua mamma come ci tenevi. Nico! Il compito in classe lo copiavi sempre da me eri furbo non so come facevi. Nico! Insieme sulle piante a buttar giù palle di neve alle barbagianne, le ragazzine con gli occhiali quelle proprio racchie. Nico! Non ti ricordi le mele rubate insieme e mangiate di nascosto in quel mercato rionale? E le domeniche d’agosto? correvamo per le strade deserte c’eravamo solo noi chissà cosa volevamo dalla nostra vita! Nico! Eri il mio migliore amico un giorno mi dicesti: “Se fossi nato femmina ti amerei”. Quel giorno al doposcuola ci presero un po’ in giro avevano scoperto i nostri giochi strani. Non mi vergognavo di volerti bene, di prenderti per mano, di regalarti il mio affetto quello che riuscivo a darti, quello che potevo darti. Nico! Ma tu adesso cosa fai? chissà se ti sei sposato, se hai dei figli se pensi ancora a noi. Com’era bello uscire da scuola! e col sole o con la neve tornare a casa insieme. Nico!
Un’emozione forte si fa strada nei miei pensieri, lenta scende come un’ombra nella mia realtà ormai stanca e tra la fantasia e l’età mi trascina via con sé in un tempo ormai lontano. Mi rivedo di colpo lì a spiarti dietro la finestra di quella tua tenebrosa casa antica. Sui miei undici anni appena compiuti cadeva già il primo velo di follia, e che sussulti, che tremiti segreti in quelle mie inquiete notti di fanciullo quando impaurito e rannicchiato mi nascondevo sotto le coperte, la mia prima masturbazione la conobbi proprio allora e fu per te. Madame Clelia! Eri grande, troppo grande forse vecchia per i miei occhi e per il mio corpo. Avevi perso il marito ti avevano abbandonato i figli io come un giocattolo, un barboncino ero tutto quello che ti rimaneva nella tua vita mai vissuta sempre attesa, mai avverata. Ancor adesso a distanza di tanti anni non so cosa volessi tu da me né cosa avrei potuto darti io. Ma ti giuro Madame Clelia, tu sei stata per me una regina ti vedevo danzare nei miei sogni di bambino, mi chiedo come mai così bella dentro nessuno, all’infuori di me, ti aveva vista mai.
Al tuo paese torni con me ogni tanto, ma sei triste pensierosa non parli. La tua fontana rivedi i vicoli la piazza che a miglior tempo ti furono amici. Anche la tua casa giace silente e vuota negletti i fiori accanto ai muri. Guardi fissa la chiesa e odi la voce di chi la preghiera t’insegnò a ripetere. Trovi tutti i ricordi segnati da croci cerchi ma non trovi la speme d’un dì.
È solo mio questo improvviso aprirmi e rivedere in un attimo tutta la mia vita e poi simultaneamente allargare le braccia all’universo che mi circonda e respirare a pieni polmoni come volessi trasportarlo in me per sentirmi parte di esso. E poi ancora rivedere con gli occhi della memoria lontanissimo come da un cannocchiale rovesciato me stesso bambino e paragonarlo alla luna distante anch’essa mille anni luce da me. E continuare a rivivere nei ricordi la spensieratezza della giovinezza e nello stesso istante dirigere lo sguardo verso l’azzurro del cielo ammirare spazi infiniti nuvole bianchissime come zucchero filato. Ridiscendere poi negli anfratti della mia memoria e riscoprire la ragazza che ho baciato e amato per la prima volta, e confrontare la luce limpida dei suoi occhi con quella delle stelle o semplicemente della stella cometa. Ricordare infine i dolci versi scritti in tenerissima età nella mia prima poesia, immaginando di trovarmi tra fiorellini di campo di vario colore, solleticati dolcemente da un leggero venticello, mentre uccellini nel nido assieme alla loro madre e tanti piccoli animaletti festanti tutti insieme cantano la loro canzone alla primavera. Capisco proprio in questi dolci momenti di non essere solo malgrado il tempo che passa malgrado non abbia una compagna. Intorno a me vedo tutto un mondo magico che pullula d’amore. C’è tanta musica nell’aria che respiro ed ora finalmente anch’io posso sentirla e lasciarla entrare nel mio cuore. Sono in simbiosi con l’universo.
Uno spaventoso silenzio avvolge tutto l’universo, gli uomini come marionette di pezza si susseguono nel tempo gli uni agli altri e non nascono che per morire definitivamente. Quanta gente nel corso dei secoli mi ha soltanto preceduto! uomini in carne e ossa proprio come me col mio stesso sangue con le mie stesse paure, le mie stesse speranze. Hanno vissuto in tempi diversi e per età differenti ma di loro non è rimasto più nulla! Dov’è l’uomo delle caverne? e gli antichi Egiziani con le loro piramidi? e i gloriosi Romani? e i pensatori Greci? imperatori e papi, uomini comuni ed eroi tutti scomparsi nell’inesorabile scorrere del tempo. Vorrei uccidermi subito al solo pensiero che anch’io farò la stessa fine, è strano come gli uomini continuino a vivere con impegno pur sapendo che dovranno morire, anche se vivessero per cento anni sarebbe sempre un soffio di fiato rispetto all’eternità. Ma poi mi consolo tra me pensando che la solitudine non è solo mia ma è presente in ogni angolo dello sconfinato universo e non esiste gioia più grande del sentirsi parte di questa immensità pur consapevole della propria piccolezza e piangere la propria fragilità in un pianto accorato e senza speranza. Così mi nasce dentro un’emozione fortissima che, anche se nata dalla disperazione è pur sempre un’emozione e subito dopo rido, rido e ancora rido. Ormai più nulla ha valore per me. Scopro la dolce ebbrezza del non senso, non m’importa della seduzione della fede né del ragionamento della scienza. Sono totalmente felice e la mia gioia scaturisce dalla mia solitudine che ora riesco a proiettare nel cosmo e la solitudine dell’universo è la mia stessa solitudine e mi dà conforto mi rende grande.
Tristezza di cose perdute di voci, di grida, d’amore è struggente la pena che sento come una lama mi trafigge il cuore. Addio nidiata di bimbi! è tanto quel che mi rimane di voi siete riusciti a far sparire il dolore per sempre compagno di vita. Sorridevo felice all’innocenza di nascosto, nel silenzio, tra le ombre in segreto e in perfetta armonia entravate uno dopo l’altro in me. M’illudo di avervi vicino vedo i vostri corpi e li tocco, li sento immagino che siate con me nel pensiero più dolce ch’esista. Ripiomba di colpo ogni cosa in grembo all’eterno destino i vostri visi risplendono come dolci memorie e poi muoiono con un tremulo brillio.
È tutta avvolta nel mistero e nella meraviglia questa vita mia, con genuino e infantile stupore, della natura osservo ogni manifestazione fino ad esserne rapito. Con sensibilissima attenzione nel silenzio ascolto le voci, i suoni anche i più tenui, delle piccole cose intorno a me. Affascinato e curioso percepisco la suggestione, la religiosità, il mistero nascosti in esse. Ai miei occhi non appaiono sempre traducibili e afferrabili ma sciogliendosi in musica, in sospiro mi riempiono ugualmente l’animo d’immenso.
Storia d’una infanzia lontana ricognizione di un mondo pietrificato nei ricordi. È il canto della memoria che si eleva è profondo, sentito, cercato. In esso si rincorrono gli attimi che hanno lasciato una traccia. Rivivono anch’essi insieme alle cose, alle persone familiari ai sogni di più remote stagioni. La memoria mi appare così come immagine sovrapposta al presente e i suoi impulsi, ritornando dal passato, s’intrecciano sinfonicamente, trovano una finale armonia.
Dimora in me un continuo e sempre vivo bisogno d’innocenza come memoria limpida, essenziale non coperta da incrostazioni. Tornano nella mia mente lontane primavere, gigli appassiti come visioni taciturne e distanti e tra echi sepolti in un urlo senza voce cadendo vittima del segreto logorio della vita, subisco inerme la vecchiaia come qualcosa di ineluttabile stagione ultima, cupa e persino squallida in cui sopravvive solo la memoria. Non è tanto l’immagine della decadenza fisica dell’inarrestabile declino che mi colpisce, quanto la fugacità, la brevità del tempo lo spazio attraversato in un lampo da ogni cosa, anche le immensità celesti dove ho cercato quasi un punto focale della mia esistenza. Oggi sono immerso nella follia più lucida, il mio mondo è l’irrazionale il mio pensiero si muove sempre sull’orlo dell’abisso. Non c’è più luce, non c’è chiarezza nel mondo informe, tumultuoso del mio vissuto. Mi sgorga dentro un’impressione d’inerzia, di passività che traspare dalla contemplazione della natura, ha il gusto del tempo e delle sue rovine perché quest’ultimo, pur nella disperazione e nella malinconia, è il solo che mia dia una qualche trepidazione un’incertezza, una sorpresa.
Vedo vivere e sfiorire intorno a me inesorabilmente le persone, le cose, le stagioni preda d’un sentimento panico dell’universo. Trovo conforto abbandonandomi nella natura per dimenticare in essa la mia forma umana accogliendo nel sangue il brivido solare d’una vita pura. Il mio io cosmico pone la propria oggettività per poi tornare a se stesso nel perpetuo flusso della vita. Mi fondo nella natura contemplando il momento in cui l’amore sarà libero fuori dal corpo per farsi cielo. Sublimo l’anima con i sensi ma non interrompo il contatto fisico col mondo. Forse spero di trovare in fondo alla strada percorsa il silenzio e la solitudine dell’universo anche quando silenzio e solitudine sembrano chiudermi e annientarmi.
Gioco artificiale e platonico di specchi sempre mutevoli con tante facce e tante luci, non trovo il filo interiore quello vero e profondo, cado così nel gioco delle invenzioni delle contraddizioni. Una totalità non trovata che rivela disagio, sofferenza. Cerco rifugio altrove senza sapere dove ma ciò che mi rimane di questa umana fatica è la coscienza di una prigionia e mi sento rinchiuso nel cerchio delle mie abitudini che si avvicendano in modo sterile. Sogno impossibili evasioni attraversato da sussulti e vertigini invano lotto per non essere travolto dal tempo ma l’amore mi appare perduto tra la cenere dell’esistenza. Archivio la memoria come un mondo ormai passato per sempre fatto di resti sospetti, tracce che tendono a scomparire nel tempo come carte antiche e indecifrabili vere e proprie reliquie. Sopra tutto questo sfacelo aleggia sovrano il sentimento del tempo che sfugge, che rovina, che travolge. Non mi rimane che una ragione stanca, ferita al limite della resistenza ma non vinta che cerca in fondo alla dolcezza, nella disperazione, la speranza d’una morte amica.
Come per magia il divino traluce o affiora nei margini del mistero sovrasensibile e la mia anima s’insinua tra sensazioni terrene e misteri dell’essere, nelle cose che l’occhio può scoprire mutate in una luce e un suono insospettato, nuovo, più profondo. Sento nascere in me il bisogno di illuminare con la luce del cosmo le cose infinitamente piccole. La mia anima così si fa largo e nello spazio che mi creo c’è il senso del tempo, del moto, del divenire, e insieme del mistero che avvolge il mondo delle mie sensazioni. Entro in contatto con tutto ciò che ignoro, intravedo, avverto e soltanto in quell’istante, sia pure con animo turbato, riesco a capirmi.
Momenti magici, favolosi della mia infanzia, ricordi evocati da attimi di malinconia, visioni incantate della mia terra natìa. Naufrago dolcemente in un’infanzia che è ormai il mito di se stessa, e del dolore che l’ha portata via. Pur tuttavia è suono, movimento vita che trascorre. Non la confronto con altri silenzi con gli arcani mondi dell’immaginato dello sperato, d’una irraggiungibile felicità. Diventa invece voce intima del ricordo presenza viva di qualcosa che passa come echi, rintocchi. Immersa nel tempo fluido la natura come per magia penetra nel tessuto della mia anima e si fa poesia ne scioglie i nodi, ne ispira i versi è pianto che rasserena. (liberamente tratta dalla lirica omonima di Giacomo Leopardi)
Ti ho sempre amato, colle solitario come me. Ti ho sempre amata, siepe che mi fai aprire l’anima verso l’orizzonte, me lo nascondi ma me lo fai amare. Ho sempre amato questo posto il suo sovrumano silenzio la sua profondissima quiete, e il tenue soffio del vento tra gli alberi e la dolcezza di queste piante che dormono. E mentre sono seduto e guardo lontano mi tornano in mente le stagioni fuggite l’ora presente l’eternità, ed è dolcissimo perdersi nell’immensità della natura. (liberamente tratta dalla lirica omonima di Giacomo Leopardi)
Ti vedo in cima a quella antica torre solo, proprio come me! Tu canti finché non muore il giorno mentre la primavera brilla nell’aria, esulta per i campi festeggiata da mille uccellini che fan mille giri nel cielo. Ma tu passero solitario non ti curi di loro resti indifferente a quella festa non la cerchi, non provi a volare consumi così nella solitudine la parte più bella della tua vita. Quanto è simile il mio modo di vivere al tuo! non c’è spensieratezza in me gioie e divertimenti io li evito mi sento estraneo e quasi fuggo da loro e il dramma è che non so spiegare a me stesso nemmeno il perché. Chiuso nella mia stanza passo le mie giornate vuote e monotone in silenzio, in solitudine. Eppure questo giorno che ormai volge alla sera è festeggiato da tutti in questo paese, si odono nell’aria suoni di festa vicini e lontani i giovani sono allegri indossano i loro abiti migliori si divertono ed è persino bello guardarli. Ma io, in quest’angolo del paese vicino alla campagna, io resto da solo come sempre, ogni divertimento lo rinvio in altri tempi non so a quando! guardo il sole che si dilegua dietro i monti e sembra ricordarmi che anche la mia giovinezza sta morendo. Tu, passero solitario alla fine dei tuoi giorni non potrai pentirti d’aver vissuto così. È la tua natura che ha deciso questo. Ma io, se non riuscirò a evitare la detestata vecchiaia e tutto sarà noia più di adesso cosa penserò della mia giovinezza sprecata e non goduta? forse piangerò, guarderò indietro ma sarà ormai troppo tardi. (liberamente tratta dalla lirica omonima di Giacomo Leopardi)
La ragazzina spunta dalla campagna al tramontar del sole con la dolcezza, con la malizia d’una età che non dà pensieri. Ha un fascio d’erba in mano un mazzo di rose e di viole domani è festa, deve farsi bella. La vecchietta con le sue amiche seduta sull’uscio di casa è intenta a filare e con una lacrima agli occhi ripensa a quando anch’ella era ragazza e spensierata e felice era circondata da tante compagne. L’aria si fa bruna le ombre scendono dai colli e dai tetti una luna bianchissima splende nel cielo. Una tromba suona annunciando la festa i bambini giocano felici nella piazzetta il contadino torna a casa fischiettando. Poi, quando le luci si spengono e tutto tace, si ode soltanto il rumore d’un martello e di una sega, è il falegname che ha fretta di terminare il suo lavoro prima dell’alba. Questo è il più bel giorno della settimana pieno di gioia, di speranza domani tutto ritornerà normale, triste, monotono e ciascuno riprenderà il suo lavoro. Ragazzo mio! la tua splendida ma fuggitiva età è proprio come questo giorno chiara, serena che prepara la festa della tua vita. Ragazzo mio! non mi sento di dirti altro! Ma ti prego non rammaricarti se la tua festa tarda a venire.
(liberamente tratta dalla lirica omonima di Igino Ugo Tarchetti)
Quando bacio le tue labbra profumate cara e dolce fanciulla non posso dimenticare che un teschio bianco vi è nascosto sotto. Quando stringo a me il tuo corpo sensuale cara e dolce fanciulla non posso proprio dimenticare che hai sotto uno scheletro nascosto. Quando faccio l’amore con te cara e dolce fanciulla mi è impossibile dimenticare che sotto la tua pelle vi è un ammasso di sangue, vene e organi schifosi. E assorto in questa orrenda visione dovunque ti tocchi, ti baci o posi le mie mani sento sporgere le ossa fredde d’un morto.
Da un chiarore lontano spunta l’alba repentinamente e colora di luce il nuovo mondo. Intorno, piante stecchite animali selvatici grotte e caverne buie. Si svegliano anche gruppi di scimmie sono nude come vermi della terra, schiamazzano litigano si riuniscono. Qualcosa sembra dire loro: “Uniamoci e combattiamo insieme”, una battaglia che durerà nei secoli sino alla fine dell’universo se fine ci sarà.
Mia Eva! sei tu la prima donna l’origine delle mie perversioni il pretesto per la mia follia la madre dell’animale che è in me, hai creato il mio istinto che ormai è morboso il mio desiderio che è già sporcato. Nel paradiso terrestre, trascinato indietro di mille secoli io ti osservo nuda, allucinante visione, misteriosa e invitante. Dammi la mela ti prego, che aspetti? voglio mangiarla! è eccitante peccare se tu mi sei vicina. Dimmi dov’è il serpente, l’hai calpestato o no? Voglio essergli amico e non mi farò esorcizzare. Non mi importa di rimanere dannato per l’eternità di lavorare, sudare e morire di bruciare nelle fiamme dell’inferno, l’importante è averti accanto. Sei tu la causa del mio male. Dal giorno che mangiasti quella mela ogni uomo è sempre guidato dalla follia d’una donna.
Albero solitario che mi aspetti in un campo di grano, io ti vado incontro e ai tuoi rami mi appendo. Ora sono appeso ai tuoi rami e dondolo felice. Tu ed io siamo un solo essere una sola forma.
Lento veniva trasportato un corpo straccio dentro quella bara avara di ghirlande, quel corpo era il mio sì, ero io. E quel carro funebre attraversava le strette vie che portavano a quel piccolo cimitero di collina dove io fui sepolto e riposo di già. Scialli neri vecchie facce coperte da veli silenziosa processione, dormiva mio padre piangeva mia madre quell’accompagnamento era il mio sì, era il mio ma io non capivo, ero felice e dall’alto osservavo stupito quello strano spettacolo sulla mia morte.
Seguo una linea grandiosa un’acutezza di senso capace di rendere concreta persino la fantasia. E la visione che parte generata dalla mia anima si spande al di là degli orizzonti, al di sopra delle piccole cose domestiche ed è bellissimo sentire come il senso dell’infinito coincida fino a fondersi in uno stesso clima con le cose più piccole.
Grandezza e malinconia interiore e povertà del mondo presente ma la trasposizione mia muta i termini del dissidio ed è il bisogno di sognare che rende grande l’opaco atomo terreno illuminandolo di altre verità. La fantasia ora avverte nel mondo più segreti e profondi significati dà immagine all’eco si spande in altri mondi si dissolve nell’immensità. Ormai nulla è lontano dal mio spirito.
Nel margine silenzioso della memoria che non è presente in me, trovo rivelazioni e scoperte un ricchissimo terreno umano. La poesia restituisce alla vita i nodi segreti i ricordi assopiti le reazioni più remote, fa conoscere una nuova dimensione del reale, a volte contro la ragione a volte in armonia con essa, sempre con libertà.
Sono il re del mio egoismo solitario che ha coscienza soltanto per esprimerla in privato in una totale esaltazione dei sensi. Io non cerco più un rapporto dialettico tra me e gli altri e la mia concezione estetizzante della realtà diviene dominio sulla folla, forma una solitudine privata dove il mio pene riaffiora docile tra le mie mani fino a divenire una strana sensualità fuori dai sensi trasformata in un processo di spiritualizzazione.
È grigio il clima del perenne essere. Tutto è caduto le speranze perdute, le preghiere vane le parole inutili, l’amore illuso le primavere sfiorite, gli ideali mortali. Ma non v’è più dramma in me in questo continuo appassire e morire ma completo abbandono. Accetto di andare alla deriva lasciandomi cullare dalla marea del tempo in cui tutto si dissolve fino a compiacermi del mio dolore. È dolce sentirsi vittima, indifeso, inascoltato. Capire che persino la vanità delle cose diventa pura armonia.
La mia vita passerà molto presto drammatica e patetica e con essa anche la sua ricchezza fatta umana dalla fatica. Il tempo, un male che impoverisce la vita, mi toglie ogni energia vitale, il mio corpo senza speranza e senza salvezza si rivolta, si risparmia, geme s’illude ancora di strappare giorni, ore, minuti alla fine. Ma vi è un altro male subdolo e ancor più disperato: quello di essere completamente solo nell’umana comprensione di sé costretto a tacere e fingere, a rivedere il passato riflesso nelle lacrime degli occhi che piangono in un profondo bisogno di confidenze. Triste appare allora il volto della memoria come immobile silenzio che tende all’astrazione. Verrà poi la morte del corpo il distacco amaro.
Schivo mi stupisco di vivere mi sento staccato ed incompreso da tutti gli altri uomini. Mi aggrappo agli scarti della vita tutto il resto è inconsistente. Non mi aspetto comprensione né consolazione né tregua consapevole della mia solitudine. Ho scelto liberamente l’aridità e il deserto e osservo le cose della vita prosciugate e fisse come simboli magici in una luce rarefatta.
Urlo di masse voci, passi, gesti tra pietà curiosa e fanatismo, irrazionale catena di incubi e fobie ai margini dell’ossessione. La personalità umana si lacera il senso dell’alienazione incombe la coscienza si smarrisce. Spinto da una sofferenza solitaria e indecifrabile, contagiato dalla multanime esistenza affogo lentamente nel caos e non ho scampo se non nella perfetta solitudine.
L’infinita miseria della vita la solitudine del mondo la caducità della fama che passa. E poi la morte delle persone care l’incombente paura delle malattie il continuo vagabondare senza pace dell’uomo acuiscono la mia sensibilità ma accrescono i sintomi della mia follia. Cupe ombre di pazzia si addensano minacciose su di me travestite da un’atmosfera di lucida estasi. È il dramma della mia ansia angosciante la disperazione di tutto il mio essere forse creato da Dio ma poi lasciato a se stesso privo d’identità, privo di vita impossibilitato di comunicare di capire e farsi capire.
Ormai ridotto ad accettare la mia condizione di uomo consapevole del proprio destino, sento tristemente che la vita in me invecchia inesorabilmente che altri sentimenti, altre idee mi nascono nell’anima, che arte e vita procedono insieme, e la poesia della mia vita solitaria diventa essa stessa memoria. Non è più la storia d’un uomo che cerca l’illusoria grandezza dell’universo ma semplicemente la povertà di chi insegue soltanto la sua modesta forma umana. Affido alla mia scrittura, unico ed ultimo appiglio rimastomi, la speranza di trovare ancora punti luminosi sul mio cammino terreno proiettandomi fin quando mi sarà possibile e ne avrò ancora la forza, nel tempo e nell’universale, solo così la realtà della poesia potrà apparirmi più ricca di significato di quella della vita.
Un sentimento dell’esistenza umanissimo mi scorre dentro, la mia spiritualità è attraversata da malesseri sublimati da torpori e da abbandoni, trasalimenti e sofferenze confessate, si distacca dalle cose terrene diventa consapevole della fugacità umana, è poesia per questo suo fluire in mezzo alla vita non ancora del tutto purificata non ancora donata a una fede. Le mie parole sono ultime gocce d’una vena che ha già dato ciò che poteva dare. La strada che porta alla bontà mi libera dall’ansia restituendomi un desiderio d’infinito. (liberamente tratta dall’opera omonima di S. Francesco d’Assisi)
Benedetto tu sia, mio Signore! con tutte le tue creature specialmente per fratello sole che fa diventare giorno e illumina ogni cosa intorno con grande splendore, ed è bello, radiante. Benedetto tu sia, mio Signore! per sorella luna che bianchissima, non dorme mai per vegliare la notte, e per le sorelle stelle che hai creato in cielo chiare, preziose e belle. Benedetto tu sia, mio Signore! per la sorella acqua che è molto utile è preziosa, è casta. Benedetto tu sia, mio Signore! per fratello fuoco che rischiara la notte ed è forte, è vivo. Benedetto tu sia, mio Signore! per la nostra madre terra che ci sostenta stringendoci al suo seno e ci offre frutti, fiori colorati, erbe. Benedetto tu sia, mio Signore! per i miei fratelli che sanno perdonare aiutali nelle loro tribolazioni terrene hanno bisogno della tua presenza nella loro vita. Beati quei fratelli che difenderanno la pace saranno da te premiati. Benedetto tu sia, mio Signore! per la nostra morte fisica dalla quale nessuno di noi può scappare e guai a coloro che morranno nel peccato! beati invece quelli che su questa terra avranno fatto la tua volontà. Laudate e benedite tutti il mio Signore! e ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.
Da una bimba e un pianto nacque lei piena di paure e ingenuità chiara e trasparente dai suoi occhi si affacciò e da quelle ciglia sottili piano piano scese giù. Attraversò quel viso dai lineamenti dolci pulito di bambina e per il mondo sola sola s’incamminò. Ma era troppo ingenua non conosceva il male e la sua vita era già in pericolo. E passarono in fretta gli anni e anche le stagioni venne presto l’inverno portando con sé la pioggia. Tante grandi gocce cadevano giù dal cielo tutte insieme, erano prepotenti si spingevano tra loro si bisticciavano. La dolce lacrima ben presto si trovò sommersa cerco di ribellarsi ma era troppo buona e non aveva la forza. Così per non morire pensò di tornare dentro quegli occhi dov’era nata. Sola e stanca cercò quella bambina la cercò dovunque e la trovò alla fine. Ma era ormai cresciuta non era più bambina il suo viso era truccato non si ricordò di lei e la cacciò via con forza. Così la povera lacrima restò proprio sola in balìa di tutti senza alcuna difesa. Vagava per il mondo ignorata da tutti sembrava invisibile trasparente proprio come una lacrima. E venne il sole e con la sua luce forte forte la illuminò. Ma era ormai vecchia allo stremo delle forze e lentamente si sciolse da sola. Finisce così la sua insignificante vita, la sua insignificante storia e nel silenzio, la gocciolina muore. Così è il mio destino la storia di quella piccola lacrima è uguale alla mia.
L’autore
Come sono dentro
Il vecchio e la ragazza
Introduzione ………………………………………………………………….. p. 3
La mia anima è nuda …………………………………………………….. p. 7 La mia mente ………………………………………………………………… p. 10 Vorrei …………………………………………………………………………….. p. 14 Nico ……………………………………………………………………………….. p. 16 Madame Clelia ………………………………………………………………. p. 19 Paese natìo di mia madre ………………………………………………. p. 21 In simbiosi con l’universo ………………………………………………. p. 22 Solitudine universale …………………………………………………….. p. 24 Tristezza ………………………………………………………………………… p. 26 Sensazioni ……………………………………………………………………… p. 27 Infanzia lontana ……………………………………………………………. p. 28 Sull’orlo dell’abisso ………………………………………………………… p. 29 Il mio io cosmico …………………………………………………………….. p. 31 Sfacelo …………………………………………………………………………… p. 32 La luce del cosmo …………………………………………………………… p. 34 Presenza viva ………………………………………………………………… p. 35 L’infinito ………………………………………………………………………… p. 36 Il passero solitario …………………………………………………………. p. 37 Il sabato del villaggio …………………………………………………….. p. 39 Memento ……………………………………………………………………….. p. 41 L’alba dell’uomo …………………………………………………………….. p. 42 Mia Eva …………………………………………………………………………. p. 43 La rigenerazione ……………………………………………………………. p. 44 Il mio funerale ……………………………………………………………….. p. 45 Coincidenze …………………………………………………………………… p. 46 Nulla è lontano ……………………………………………………………… p. 47 Il margine silenzioso della memoria ……………………………… p. 48 Egoismo solitario …………………………………………………………… p. 49 Alla deriva …………………………………………………………………….. p. 50 Verrà poi la morte ………………………………………………………….. p. 51 La mia solitudine …………………………………………………………… p. 52 Lo strazio d’esistere ……………………………………………………….. p. 53 La mia follia ………………………………………………………………….. p. 54 La mia modesta forma umana ………………………………………. p. 55 Desiderio d’infinito ………………………………………………………… p. 56 Il cantico di frate sole …………………………………………………….. p. 57 La favola di una piccola lacrima …………………………………….. p. 59
Bibliografia dell’autore …………………………………………………… p. 62
Questo libro è dedicato al mio caro e grande amico Giovanni Pierantoni che mi ha sempre incoraggiato a proseguire il mio cammino lungo la mia strada di scrittore
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settembre 2006
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“LA MIA ANIMA E’ NUDA” (Claudio Cisco)
“LA MIA ANIMA E’ NUDA” (Claudio Cisco)ultima modifica: 2018-04-21T08:17:05+02:00da
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